HEYSEL, 40 ANNI DOPO: IL RICORDO DI UNA TRAGEDIA CHE SEGNÒ IL CALCIO EUROPEO

29 maggio 1985: una festa trasformata in massacro, con 39 vittime di cui 32 italiani e centinaia di feriti

Strage di italiani in Belgio. Ancora. Una maledizione che sembra aver perseguitato i nostri connazionali in terra belga. L’8 agosto del 1956, 136 minatori emigrati dal nostro Paese morirono nello spaventoso incendio della miniera di carbone Bois du Cazier. Marcinelle, il nome del paese dell’impianto, divenne da allora sinonimo di lutto nazionale.

Erano passati 29 anni e nessuno, nello stadio Heysel di Bruxelles, in quel 29 maggio 1985 – esattamente quarant’anni fa – poteva immaginare che sulle tribune si sarebbe scatenato un inferno simile. Doveva essere la festa dei tifosi della Juventus e del Liverpool per la loro finale di Coppa dei Campioni, ma si trasformò in un massacro: 39 vittime (32 italiane), circa 600 feriti e una cronaca dell’orrore che si snocciolò per giorni e mesi, a mano a mano che piccole grandi storie di vita e di morte venivano alla luce.

UNA NOTTE DI CAOS E DISPERAZIONE

“Ho un ricordo vivido del senso di profonda angoscia che prese tutti noi in redazione”, racconta chi era presente quella sera. I televisori accesi in attesa dell’evento sportivo trasmettevano immagini confuse, da cui era impossibile capire cosa stesse realmente accadendo. La confusione era totale.

Lavorare in quelle condizioni fu un’impresa, sia per gli inviati sul campo sia per i giornalisti in redazione. Prevalse, come è dovere in questi casi, lo spirito di servizio, il rispetto per le vittime e il dovere informativo. Ma molti piangevano mentre scrivevano o montavano i servizi.

LE CAUSE DI UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA

Fra le tante ricostruzioni, anche processuali, dell’evento, emerse senza dubbio che la causa prima della pressione omicida sulla folla furono le “cariche” dei tifosi inglesi. Ad aggravare la situazione, le colpe degli organizzatori e l’inefficienza della polizia belga, in un miserevole spettacolo di sottovalutazione dei rischi connessi alla partita.

Come conseguenza immediata, i club inglesi furono esclusi dalle competizioni europee per cinque anni. Solo con il tempo si cominciò a comprendere che gli impianti fatiscenti o inadatti ai grandi flussi di spettatori erano all’origine di questi incidenti, insieme alla furia degli “hooligans”.

LE STORIE UMANE DIETRO LA TRAGEDIA

Sono le storie delle vittime e dei loro familiari a riempirci ancora di dolore dopo decenni. Recentemente, grazie all’autore del libro “I fantasmi dell’Heysel” e della docu-serie televisiva che ne è stata tratta, Jean-Philippe Leclaire, è avvenuto il commovente incontro tra Terry Wilson, tifoso del Liverpool che si sentiva in colpa per i suoi compagni, e la famiglia aretina Lorentini, che in quella notte aveva perso Roberto, un medico travolto mentre cercava di soccorrere i feriti.

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LA PARTITA CHE NON DOVEVA ESSERE GIOCATA

Incredibilmente, quella partita, appena raccolti i morti, si giocò. Gli organizzatori giustificarono la decisione, presa senza consultare i giocatori (che non erano a conoscenza delle dimensioni del disastro), con ragioni di ordine pubblico, sostenendo che sarebbe stato pericoloso far sgombrare lo stadio in quelle condizioni.

Al termine dell’incontro più surreale della storia del calcio, alcuni giocatori juventini si lasciarono andare a gesti di esultanza fuori luogo, scusandosi quasi immediatamente. Molti non avevano avuto informazioni precise su quanto accaduto.

Come ogni tragedia che colpisce il mondo dello sport lascia cicatrici profonde che il tempo può lenire ma mai cancellare completamente, così l’Heysel rimane una ferita aperta nella memoria collettiva del calcio europeo.

IL PESO DELLA MEMORIA

Al rientro in Italia, un altro errore d’immagine: Boniperti si presentò sulla scaletta dell’aereo alzando il trofeo vinto. Il direttore della Gazzetta dello Sport di allora, Candido Cannavò, scrisse un commento durissimo intitolato: “Juve, nascondi quella coppa”.

Fu Gianni Agnelli a mettere le cose a posto con parole che ancora oggi risuonano come le più appropriate: “Tornando a quella notte, non posso pensare al risultato sportivo, ma solo al dolore delle famiglie delle vittime”.

A quarant’anni di distanza, il ricordo dell’Heysel continua a essere un monito per tutto il mondo del calcio. Una tragedia che ha cambiato per sempre il modo di concepire la sicurezza negli stadi e che ci ricorda come lo sport, pur con la sua capacità di unire e appassionare, debba sempre restare un momento di festa e mai trasformarsi in occasione di violenza e dolore.